CARO LUCIO TI SCRIVO

GuidoFabriziRacconti

caro lucio ti scrivo 

Balla, balla, ballerino, anche oltre al tuo destino, che ti ha incantato il cuore, prendendoti per mano, nella luce del mattino. Non fermarti, canta per i nostri cuori stanchi che non riescono più a vedere, che non riescono più a volare. Balla, balla, ballerino, disegna una scala musicale con il tuo piano, che ci porti in alto e che squarci questa fredda e oscura notte, conducendoci lontano. Balla, balla, ballerino, prendici per mano, ora che sai che non c’è più paura che possa fermare i nostri sogni, che possa impedirci di colorare questa splendida avventura, anche quando la realtà ci scolora. Balla, balla, ballerino, accompagnaci con la tua musica fino al mattino, fino a quando la luce si farà più forte, fino a quando si apriranno le porte di un profumato giardino.

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OGGI VI PRESENTO… SILVIA LOMBARDI, VINCITRICE DEL CONCORSO “BUK”

ragazzainrosso

“Nonno Pilastro” scritto da Silvia Lombardi e Mario Courrier si è aggiudicato il primo premio nel concorso letterario “Buk” patrocinato dall’associazione scrivendo volo. Il racconto è contenuto nell’antologia “Scritture in libertà” edita da “Il violino edizioni”, volume che è stato presentato in occasione della fiera della piccola e media editoria “Buk” di Modena.

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Il testo vincitore del quale vi parlo si contraddistingue per la sua lettura agevole e per la facile comprensione. Tratta di un tema particolarmente importante, ossia vuole parlare di un problema contemporaneo: la situazione dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria, da sempre un cantiere a cielo aperto.
Estremamente originale è la trovata narrativa del pilastro commemorativo dell’anziano nonno proprio nel luogo nel quale sorgerà l’autostrada. Ne scaturisce un racconto per certi versi ironico, ma estremamente coinvolgente ed emozionante, specie se si guarda l’anziana nonna che si dispera e prega soffrendo, come se il marito fosse morto una seconda…

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La Sirena

La prese per mano e la guidò.

Fiducia piena

occhi bendati

lei lo seguì.

“Lo senti il rumore, Beatrice?”

Beatrice, la chiamava.

“Sento un canto”

“Lo senti il profumo, Beatrice?”

“Lo sento”

La stese sulla sabbia umida

e la accarezzò.

La schiena

le spalle

i lunghi capelli.

Il naso.

Il naso c’infilava

in quella massa scompigliata dal sale.

La odorava,

il pescatore.

La barca

le reti.

Gli occhi rotondi

di un pesce d’argento.

Argento vivo,

mica quelli di adesso

che son tutti uguali.

La coda guizzava.

Sempre più forte.

Il richiamo del mare.

Le sciolse la benda.

Lei guardava.

Lui,

il mare.

Lui,

il mare.

Il mare.

Solo sulla spiaggia.

Un dono gli lasciò:

la parrucca.

#porcalamiseriaeraunmaschio

 

Che poi,

quando tornò

con la parrucca in mano

lo credevano un indiano

(per via dello scalpo)

E invece

era un pescatore.

“Non posso più

-per inciso- cazzo,

quelle son spose del mare”

e scuoteva la testa.

Innamorato.

#controlomofobia

Silvia Taurie L.

 

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Emma

Mercoledì 12 aprile

Non so dove mi trovo. Il mio borsone è appoggiato sul letto. C’è un lavandino, sporco. C’è una turca, sporca. C’è una finestra. Con le grate. Sarebbe piccola comunque, per scappare da qui. Il sole è a righe, ma adesso piove. Hanno appoggiato un vassoio sul tavolino verde. Il piano è verde, le gambe sono di acciaio … e balla, il tavolino. Ci gioco, tocco ritmicamente l’angolo più vicino e il bicchiere di plastica si permette di fare “stap”. Una sola volta. Anche la bottiglia dell’acqua è di plastica. C’è una sedia. Ah, è verde come il tavolo. Verde come gli occhi del gatto. Ho voglia di fumare ma qui non si può. Mi avvicino al cancello di ferro e chiamo: “Ehi voi! … C’è qualcuno?… Ho chiesto se c’è qualcuno, stronzi!” E dal soffitto parte un getto d’acqua gelata che mi bagna completamente. Fanculo! Adesso sono fradicia… “Vi siete divertiti, stronzi?”. Rinuncio alla sigaretta e cerco di sistemare le mie cose. Mi crea ansia questo posto, ho paura. Non risponde nessuno. Mi accuccio in un angolo e cerco di allontanare tutto, ma la testa fa quello che vuole. E arrivano: ragni, rane, cavallette. C’è una farfalla bianca. Devo guardare lei, lei non fa paura. “Farfallina, farfallina, far-fal-li-na bianca e piccina.. io lo so che cosa fa, cerca libertà”… E lo ripeto ancora, e ancora. Mi sveglio in una stanza diversa. Ora sono stesa e legata. Mi hanno tolto i vestiti e indosso una camicia azzurra. Un signore, che di sicuro è un medico, mi sta visitando. Non parla con me, non mi saluta nemmeno. Parla con l’infermiera: “… e si mordeva le gambe, le mani. Si graffiava e si produceva lividi su gran parte del corpo… E scriva che si strappava i capelli, che prima di svenire si stava torturando”. Penso che non è vero! Che cercavo di uccidere i ragni… loro non li hanno visti.

Mi riportano in stanza, ma non mi reggo in piedi. Sul letto cado in un sonno profondo.

Venerdì 14 aprile

Oggi c’è il sole. Buongiorno mondo. Buongiorno Annina. Dove sei, mondo? Mi credono matta perché ho una bambola di pezza, Annina. E glielo faccio credere. Non posso fare altrimenti. Il sole entra dalla finestra. Dall’alto verso il basso, e i raggi si schiantano sul pavimento senza far rumore. Le inferiate proibiscono un’ombra uniforme, si tengono un po’ di sole … rubano un po’ di sole. Fuori è primavera, lo sento. Sento gli uccellini cantare. A volte entrano attraverso il vetro e si posano sulla mia mano. Ieri mi hanno portato un fiore giallo, che ora non c’è più. Me lo hanno portato via. Dicono che le farfalle vivono un solo giorno, che la mia farfallina bianca non mi proteggerà, che morirà, ed io piango.

Sabato 15 aprile

“Stronzi! Venite ad aprirmi, voglio fumare!”. E di nuovo quella doccia fredda, ma questa volta mi lasciano qui. Mi portano una camicia asciutta. Ancora una volta un’iniezione ed io dormo. E sogno il mio papà. Il mio papà mi vuole bene. Mi porta sempre le caramelle alla menta che mi piacciono tanto. Lui lavora, fa quello che aggiusta gli orologi e quando torna si avvicina a me e mi dice “tic-tac, tic-tac”. Mi piace quando lo dice.

Domenica 16 aprile

“Ho voglia di fumare, bastardi!”. Ma mi limito a pensarlo per oggi.

Martedì 18 aprile

Ieri mi hanno avvisato che sarebbe arrivata la mia mamma. Chissà se verrà anche il mio papà. Lo aspetto. Lui ha sempre le caramelle alla menta per me. Solo per la sua bambina. E poi mi abbraccia e mi bacia in fronte. Il mio papà mi vuole bene.

Mi prelevano da questa stanza e vedo per la prima volta il lungo corridoio. Ci sono altre stanze. Ci sono altre persone. Perché non parla nessuno? Perché c’è sempre silenzio?  Lo immagino, non vogliono fare la doccia… e le capisco, ma io sono ribelle. “Ma che peccato, signorina Emma, deve fare l’ennesima doccia fredda!”.

Mio padre non c’è e piango. Voglio il mio papà. Mamma dice che è ammalato, che ha la febbre e che mi saluta tanto. Mi porge delle caramelle ma non sono quelle del mio papà. Mi trattengo, sono bravissima: ho voglia di fumare e ci riuscirò.

Io e mamma usciamo. C’è un parco con gli alberi e le panchine. Ci sediamo, e mentre mamma mi racconta delle cose che ora non ricordo, finalmente fumo una sigaretta. E rido. Sono felice. Se mamma mi viene a trovare spesso io posso fumare.

Mercoledì 19 aprile

Annina, la mia bambola di pezza, ha deciso che non mi vuole più come mamma. Mi ha chiaramente detto che non si alzerà più dal letto, che rimarrà lì in eterno… prima o poi cambierà idea. Non capisco perché ce l’ha con me.

Venerdì 21 aprile

Mangio le caramelle di mamma. Ma non sono come quelle del mio papà… “Emma, papino ti ha portato le caramelle alla menta. Le ho in tasca. Prendile piccolina bella…”. Così diceva, mi manca tanto il mio papà.

Sabato 22 aprile

E’ arrivata mamma. Sola anche oggi. Dice che il mio papà sta tanto male. Ha la febbre alta. Fumo con lei in giardino. La mamma piange, ma non so perchè.

Domenica 23 aprile

“Stronziiiiiiii! Vi odioooo!” Mi hanno legata qui al letto. Adesso arriverà l’infermiera a farmi l’iniezione. Devo salutare tutti, io dormo. E anche oggi è finito.

Mercoledì 26 aprile

Si chiama Dottor Amilei. Dice che vuole aiutarmi. Che ho bisogno di aiuto. Io invece, ho bisogno di tornare a casa. Dice che è troppo presto. Mi chiede del mio papà. Come si chiama: Stefano. Quanti anni ha: 50. Quanti anni ho io: 19. Come si chiama mamma: Antonietta. Quanti anni ha: 46. Litigano papà e mamma: a volte. Urla papà: no. Urla mamma: sì, e piange, a volte. Cosa fa il tuo papà: aggiusta gli orologi “tic-tac, tic-tac”. Cosa fa la tua mamma: niente. Solo la mamma. Ti vuole bene: sì. E il tuo papà: benissimo. Come benissimo: benissimo e basta. Mi porta le caramelle alla menta quando torna a casa. Dov’è adesso la tua mamma: a casa. E il tuo papà: a casa ammalato, con la febbre alta. Ti dispiace: sì… e scoppio a piangere. Il Dottor Amilei è buono, mi accarezza i capelli e mi fa accompagnare nella mia stanza.

Martedì 2 maggio

Mi lavano, mi vestono e mi pettinano. Mi mettono le forcine. Mi viene a prendere un signore che si chiama Pietro. Con lui c’è mamma. Mi dicono che mi faranno alcune domande e che devo solo dire la verità. Va bene.

Che curiosi. Mi chiedono cose che non li riguardano. Il tuo papà, ti portava le caramelle: sì, questo lo ricordo. E te le consegnava in mano: no, anche questo ricordo. E come facevi ad averle: le prendevo dalla tasca dei suoi pantaloni, so anche questo. E c’erano solo le caramelle in tasca: no, c’era “Ciccio”, lo so. E chi è “Ciccio”: “Ciccio”, il suo amico. E tu hai mai visto “Ciccio”: si, no, non lo ricordo Quante volte: non lo so. Lo hai toccato: sì, no, non lo ricordo. Te lo faceva toccare: sì, no, non lo ricordo. Il tuo papà ti accarezzava: sì, è buono il mio papa. E dove ti accarezzava: qui, qui, qui. Sempre: no, quando era arrabbiato no. La mamma piange. Forse perchè ho sbagliato alcune risposte. Mi dispiace. Dov’è il mio papà? Mi riportano nella mia stanza e il Dottor Amilei mi fa fumare una sigaretta e mi regala una fetta di pizza. E’ un uomo gentile. Solo lui.

Sabato 6 maggio

La mamma arriva con il Signor Pietro. Il Signor Pietro mi dice che sono stata brava. Mi dice che verrà un dottore che mi farà una vistita … lì, nella farfallina e a me scappa da ridere. Mamma mi sorride. Fumo una sigaretta.

Lunedì 8 maggio

Viene il Dottor Amilei con un altro dottore. Quello che diceva il Signor Pietro. Mi fa entrare in una stanza e mi fa sdraiare sul lettino con sopra la carta. Mi infila una cosa lì, ma non è uguale… io non dico niente, mi vergogno.

Martedì 9 maggio

Eccoli: ragni, rane e cavallette. Tutti. Scappo nel mio angolo e cerco la farfallina: “Dove sei farfallina?” Non c’è più. Mi ha lasciata sola. Mi ha lasciata sola come il mio papà.

Lunedì 15 maggio

Di nuovo. Mi lavano, mi vestono, mi pettinano e arriva mamma col Signor Pietro. Mi portano di nuovo in quel posto. Altre domande. Emma, ricordi che stavi facendo la sara prima di essere portata dal Dottor Amilei: sì. Che facevi: Giocavo con Annina. Chi è Annina: la mia bambola. Giochi spesso con Annina: sì, è la mia bambina. Quando il tuo papa è arrivato, tu stavi giocando: sì, certo. E la tua mamma: era giù dalla nonna. La tua nonna abita al piano di sotto: sì. E cosa faceva il tuo papà: cenava, da solo. E tu avevi già cenato: sì, con la mamma. Non aveva le caramelle il tuo papà: no, non le aveva, ma credevo di sì. E che cosa ha fatto: ha cenato e poi mi ha chiamata vicino a lui. E hai preso le caramelle dalla tasca: no, non c’erano. Non aveva niente in tasca il tuo papa: solo “Ciccio”. Lo hai visto: no, sì, non lo so. Lo hai toccato: no, sì, non lo so. Perchè piangi Emma: perchè non me lo ricordo e poi mamma piange perchè non so rispondere.  Dicono che è abbastanza… e sono di nuovo qui.

Venerdì 19 maggio

Viene a trovarmi il Signor Pietro, ma mamma non c’è. Mi porta in giardino e ci sediamo su una panchina. Mi offre una sigaretta. Gli sorrido; è simpatico il Signor Pietro. Glielo dico: “Io “Ciccio” l’ho visto e l’ho toccato. Papà me lo ha fatto toccare per forza, mi faceva paura” Le parole mi escono veloci dalla bocca e non le so fermare. E piango. “Poi mi ha alzato la gonna e mi ha messo le mani lì e io non volevo, ma lui mi diceva che ero la sua bella bambina, che le caramelle alla menta erano finite. E poi ha preso “Ciccio” e lo ha infilato lì e mi ha fatto tanto male. Ed io piangevo e lui mi diceva “ssshhh, amore mio” … e io voglio tanto bene al mio papa; allora sono stata buona e poi non mi faceva più male e lui si muoveva veloce. Il Signor Pietro mi guarda serio; forse ora gli sto antipatica. Io piango e lui mi riaccompagna nella mia stanza.

Sabato 20 maggio

Eccoli di nuovo i ragni, ecco di nuovo le rane e le cavallette. Sono ovunque, mi saltano addosso. Il mio angolo, pieno di ragni, non ho più nessun rifugio. Urlo forte. Mi risveglio legata nel mio letto. E’ sera.

Mercoledì 24 maggio

La mamma è qui. Siamo in una stanza con la macchinetta del caffè perchè fuori piove. Posso fumare lo stesso, però. Il mio papa non c’è. Nemmeno oggi. Mamma dice che è all’ospedale, che ha la polmonite. Io credo che non mi voglia più bene. Non è mai venuto a trovarmi. E piango.

Sabato 27 maggio

Ho sognato il mio papà. Che mi toccava. E poi il sangue. Annina sul pavimento. E le forbici. Stavo cucendo dei vestitini per la mia bambola. Mamma lo sa che uso le forbici, me lo permette. Sono una brava sartina. Il mio papà mi ha fatto male, mi stava facendo male. E’ stata la mia mano a trovare le forbici. E’ stata la mia mano a colpirlo. E tutto il sangue… Tutto è diventato rosso.

Ora guardo la luce fuori dalla finestra. E so che non vedrò mai più il mio papà.

Silvia Taurie L.

Primo classificato Concorso BUK-Scrivendovolo  Fiera della Piccola e Media Editoria di Modena 2013

Pubblicato sull’antologia “Primavera Letteraria” de Il Violino Edizioni

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